Né uniti né divisi. Le due anime del federalismo all'italiana
Siamo entrati nel terzo millennio ma restiamo il paese dei mille campanili. I comuni erano 8382 nel 1871 e oggi se ne contano più di ottomila, mentre le province sono quasi raddoppiate. Negli anni settanta sono arrivate le regioni, seguite da centinaia di comunità montane e da migliaia di organismi minori. Troppo Stato, troppi costi della politica. Sfuggiremo mai alla trappola del localismo in cui a suo tempo cadde anche il processo unitario? Non è detto. L'attuazione del Titolo V sta moltiplicando le ragioni di conflitto tra i diversi poteri locali, oltre che tra autonomie e Stato. Un intreccio del genere non esiste nel federalismo europeo, che ovunque subordina il localismo ai governi regionali. Si ritrova invece in Brasile o in Messico, dove i comuni sono costituzionalmente garantiti. Quale direzione prenderà da noi il cambiamento? Prevarrà il centralismo di Tremonti tipico del federalismo tedesco e austriaco, oppure il municipalismo di Bossi presente nel modello latino-americano? Per ora queste due prospettive politiche si sono rafforzate reciprocamente, ma la partita più importante è ancora in corso, perché la riforma non entrerà a regime prima del 2016. Benvenuti, dunque, nel nuovo decennio, incerto e inevitabilmente conflittuale. Saranno solo i prossimi anni a dirci quale delle due anime è destinata a prevalere. Oppure se entrambe saranno costrette a capitolare.
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