Tropico del fango

Tropico del fango

«Ho scritto questi testi con la casa ancora mezza allagata, i salvagenti di sicurezza legati sul tetto, e la gente intorno che aveva perso tutto. Un vicino anche la vita. Non sono racconti, non sono reportage. C’ho messo quello che vedevo, andando con mio figlio ad aiutare dopo aver ripulito casa nostra. Io sono nato a Casola Valsenio, negli Appennini, dove letteralmente sono venute giù le montagne ed era rimasta solo la strada per andarci. Per un giorno intero non ho saputo se mia mamma era viva o morta. Era viva. Aveva creato un rifugio di emergenza per galline profughe. Io non sono un giornalista. Sono un narratore. Non mi interessano tanto i fatti in sé, quanto cosa accade agli esseri umani che ne sono travolti. Non come franano le montagne o si allagano i quartieri, ma come franano – o non franano – le persone, come si allagano le loro vite e come riscono a non affondare. E anche con queste parole, ho cercato di fare quello che da sempre tento: salvare mondi che rischiano di scomparire.»
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