Barbarie e civiltà nella concezione di Leopardi
Nel proprio “sistema” Leopardi ricorse spesso a concetti basilari stabiliti in antinomie, come l’opposizione tra barbarie e civiltà, richiamata o sottesa quando si esprimeva in prosa o in versi su epoche storiche, quali il Medioevo e il Rinascimento, o forme di governo o eventi politici nello spirito del suo tempo, come la Rivoluzione francese e i primi moti liberali. Con la grazia di un lirico capace di afflati metafisici, pari in lui a un acume critico trafiggente, sapeva essere in politicis e nella valutazione dei mai estinti “errori popolari” un fi ero polemista e un “malpensante” per autodefinizione. Questo libro indaga da otto prospettive, ordinate in capitoli, il contrasto e il confronto tra barbarie e civiltà nella varia interpretazione di Leopardi. Inalterabile è il suo postulato del modello classico generato dall’unione di logos e immaginazione: così avvenne per mimesi nel Rinascimento. Nei tempi moderni del disincanto, l’antidoto alla barbarie non è la civiltà che razionalizza del tutto la vita, ma quella in cui sia concesso a molti, come all’élite della “società stretta”, di rendere l’esistenza, esposta al continuo incremento dei saperi, una forma estetica piacevole e il meno possibile dolorosa.
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