Samar. La luce azzurra a Itaca, Roma, Baghdad
Samar. La luce azzurra a Itaca, Roma, Baghdad: Samar è una parola araba di difficile traduzione anche nella bella lingua italiana. Vuol dire raccontare parlando dolcemente alla notte, all'ombra della luna, con la maestria immaginativa di cui era esperta Shahrazad, ma anche le tante donne recluse che, con la voce, trovavano insieme salvezza e libertà. Samar vuol dire anche ascoltare, partecipare a una festa notturna che era una vera e propria cerimonia dell'ospitalità, durante la quale la famiglia riunita riceveva, dallo straniero di passaggio, il dono della sua fantasia e i lontani echi di amori perduti e di incontri magici con la natura. Samar però è una parola non solo araba ma greca, romana, ebrea, egiziana, insomma mediterranea, perché in tutto l'antico Mediterraneo raccontare e ascoltare era il dono e controdono dell'ospitalità: lo sa il naufrago Ulisse, appena sbarcato nell'isola con il suo gommone da rifugiati, che di notte dona alla Regina Arete le storie delle sue meravigliose imprese di viaggio; e lo sa Eumolpo, che dona ai marinai che stanno per fare naufragio, la storia di una Matrona, un po' romana e un po' asiatica, che sceglie la vita e l'amore al posto del conformismo e della morte. Perché Samar, infine, vuol proprio significare ogni parola di libertà, ogni parola che non si chiude nei pregiudizi e tantomeno alle frontiere. Essa è in viaggio e si tinge di poesia, non solo la poesia dei poeti, ma la poesia dei popoli che ha incontrato, struggente per la sua luce azzurra, quella luce che viene dal cielo e dal mare e di cui parla uno dei più grandi poeti contemporanei marocchini, uno dei sostenitori dell'ut
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