L'inquietudine dell'esistenza. Le radici luterane dell'ontologia della vita di Martin Heidegger
Nei corsi friburghesi degli anni Venti la lettura heideggeriana non solo degli autori cristiani (Paolo e Agostino), ma anche del "pagano" Aristotele, subisce la decisiva influenza - spesso ignorata o misconosciuta - del giovane Lutero, colui che mette in atto una destructio radicale del "vecchio Adamo", l'uomo del peccato, in vista della sua rinascita, nonché della theologia gloriae, la teologia scolastica, in vista di una theologia crucis, l'esperienza storica di un Dio che si fa uomo e muore crocifisso. In modo analogo Heidegger decostruisce la filosofia speculativa della vita ed elabora una comprensione della vita fattizia, storico-concreta, realizzabile solo attraverso la metanoia dell'esistenza. Nel solco dell'interpretazione luterana, Heidegger ricava dalle Lettere paoline, dalle Confessioni agostiniane e dagli scritti aristotelici le categorie proto-cristiane e proto-fenomenologiche, che indicano formalmente come la vita si attua, lacerata tra possibilità opposte di cui quella più propria, da assumere o fuggire, è la morte -, che la rendono massimamente in-quieta. Tali categorie rappresentano il laboratorio da cui sorgerà l'analitica esistenziale di Essere e tempo, l'analitica di un Dasein finito, gettato-nel-mondo, che non è una "sostanza" fissa e immobile, ma, in quanto apertura al possibile, un a-venire.
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