Negare l'evidenza. Diritto e storia di fronte alla «menzogna di Auschwitz»

Negare l'evidenza. Diritto e storia di fronte alla «menzogna di Auschwitz»

"La Shoah è una menzogna storica". Metamorfosi contemporanea dell'antisemitismo, la negazione del genocidio ebraico riaffiora con ritmo carsico nel discorso pubblico, nelle aule scolastiche e universitarie, nel circuito della libera espressione del pensiero, con buona pace della dignità delle vittime e dei superstiti di quella catastrofe. In molti ordinamenti giuridici, la reazione al negazionismo non si è fatta attendere: nel bilanciamento tra libertà di manifestazione del pensiero e tutela della memoria storica e della dignità umana, i legislatori hanno preferito accordare una più intensa garanzia a questi ultimi valori, qualificando come reato la manifestazione del pensiero negazionista. Ma può ritenersi legittima la pretesa del diritto di varcare la soglia della storia, fissando per legge il dovere di memoria e sanzionando chi osi "rivedere" i contenuti di quella memoria? Quali sono i confini tra negazionismo e revisionismo? È bene sottrarre la decisione circa questioni siffatte al dibattito politico e culturale per affidarla a legislatori e giudici? L'ordinamento italiano si è posto controvento rispetto all'Unione europea, ritenendo di non penalizzare il negazionismo. Dallo sfondo di tale scelta, in sé apprezzabile, emergono tuttavia incoerenze, rimozioni, fughe dalle responsabilità storiche, richieste indirette di esoneri e, in definitiva, le difficoltà della comunità politica italiana di fronte al proprio passato fascista.
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