Sono un bullo, quindi esisto. I volti della violenza nella ricerca della felicità
Le opinioni formulate da insegnanti, educatori a vario titolo o dalla "gente comune" spesso riducono un fenomeno complesso come quello del bullismo alla presunta cattiveria di alcuni ragazzi o allo smarrimento di valori e sentimenti. Certi comportamenti complessi vengono descritti attraverso spiegazioni semplicistiche, scarsamente supportate da studi e ricerche sulle relazioni che intercorrono all'interno dei vari sistemi (scuola, famiglia, società). Non è raro riscontrare pregiudizi o opinioni (per esempio, "questi ragazzi sono dei diversi, incapaci di avere dei rapporti normali con i coetanei, con la famiglia o con gli insegnanti"), che favoriscono, attraverso etichettazioni arbitrarie, la messa in atto di comportamenti legati al cosiddetto bullismo. Tali comportamenti vengono talvolta fatti derivare da un presunto cambiamento antropologico dei giovani, definiti "figli del nichilismo", privi di ogni traccia di pensiero riflessivo, di sentimenti e di morale. Si tratta di "verità" quasi indiscutibili, che si configurano come spiegazioni/giustificazioni utili per nascondere o camuffare la realtà. Queste verità fanno bene, liberano, riscattano, e mettono al sicuro. Ecco la conclusione che soddisfa tutti, o perlomeno tutti coloro che la pensano allo stesso modo: bulli si nasce, dato che certi comportamenti sono riconducibili, a ben guardare, a fattori genetici e solo a quelli, coerentemente con alcuni programmi di ricerca che vanno oggi per la maggiore.
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