Pratiche. Il territorio «è l'uso che se ne fa»
L'aumento della mobilità territoriale, ma soprattutto la diversificazione e la variabilità delle sue motivazioni (per cui si parla di mobilità, al plurale), tende a mettere in discussione l'abitudine di considerare la stanzialità come modalità tipica del rapporto tra società e territorio. Un "territorio" non è più il luogo dove chi dice di "abitarci" fa tutto quello che fa per vivere, entrando in relazione quasi solo con quelli che, come lui, dicono di "appartenere" allo stesso territorio. Ormai per la più parte della gente il territorio in cui abita è l'insieme dei posti nei quali sceglie (in parte essendovi costretta) di fare quello che fa, avendo perciò a che fare con gli interlocutori che vi ritrova, e che non sono mai necessariamente gli stessi (che lo voglia, o non). Non è detto, quindi, che il territorio che "è l'uso che se ne fa" sia quello desiderato. Gli scritti di questa raccolta cercano di esplorare le possibilità della gente di farsi valere - e gli "impedimenti", opposti dalle pratiche "tecniche" e amministrative correnti, allo sviluppo di queste possibilità - rivisitando, in particolare, la distinzione tra politiche e pratiche. Si propone di riconoscere la "politicità" delle pratiche. L'importante delle pratiche è capirle.
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