Il villaggio troglodita. Dalla rivoluzione hippy a quella del colera
Un lungo racconto autobiografico che prende inizio a Elat, il porto israeliano più meridionale sul Mar Rosso, dove alcuni ex-volontari dei kibbutzim lavorano alla giornata per sbarcare il lunario, dando allo stesso tempo corpo e vita a una comunità spontanea e assolutamente priva di strutture tra le grotte di alcune aride vallate, alla periferia della città. Da tale avvicinamento alla vita semplificata e primitiva imposta dal deserto, nasce nel protagonista il desiderio di allontanarsi dal clima troppo marcato di tensioni belliche che caratterizza il Medio Oriente, e matura presto l'idea di trasferirsi in India, nell'ipotetica convinzione di potersi ivi confrontare con un tipo di società più pacifica, nonché antitetica al modello sempre più esasperatamente meccanizzato dell'Occidente. Egli approda così dapprima a Cipro, per proseguire poi in una rapida carrellata attraverso una Turchia orientale non ancora toccata dal turismo, e bloccarsi infine in tale paese a causa di una epidemia di colera. L'accennare e descrivere esperienze fuori dal comune, quali un campo di quarantena, una micro-società di giovani baraccati nel deserto, due importanti città come Gerusalemme e Istanbul in stato di emergenza sanitaria, rinnovano e ravvivano il racconto fino al suo concludersi.
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