Fisionomie socio-culturali della solitudine

Fisionomie socio-culturali della solitudine

"Capita spesso che una persona, pensando, si trovi sola già a partire dalla constatazione, che può essere molto sommaria, sulla mutilazione che talune 'parole ricorrenti', come 'lapidario' o 'logoro', operano alle giunture del discorso e al senso dei fatti, con il loro portato di genericità, ai danni di una dettagliazione implosa sempre più nella stretta dei settori. (...) può accadere che qualcuno si senta solo nella misura in cui quel che ci fa essere individui risulti confuso nelle topiche della settorialità e misconosciuto in questo rampante 'presente assoluto', che molto profondamente connota l'esperienza di gestazione e gestione del tempo delle persone a questo punto della storia. Di conseguenza, sia che si ammanti di sarcasmo, come accade nella cinica performativa del gesto attoriale, sia che prorompa in livori, tic e risentimenti, in quella verità di vita che non passa dal racconto né dalla rappresentazione, la solitudine resta esito, segnale e giustificazione di dolore". Introduce così la sua ricerca Carolina Falbo, l'osservazione attenta delle facce della solitudine nel tempo, dal Medioevo al Romanticismo, passando per Rinascimento e Illuminismo...
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