Spengo la luce. Non chiudo occhio
Il senso ultimo della prima silloge di Marina Sandre è racchiuso nella poesia che apre l'intera raccolta: un grido disperato che l'autrice rivolge universalmente a tutti coloro i quali vorranno raccoglierlo, una richiesta d'aiuto senza condizioni, una speranza che qualcuno possa finalmente raccogliere il suo dolore e gettarlo via, in un posto così lontano da non poter essere più ritrovato. La sofferenza si agita nel cuore della scrittrice e non la abbandona mai, la poesia si muove nei meandri di quest'angoscioso sentimento per narrarlo e, nel contempo, determinarlo. [...] È una poesia senza respiro, che non concede attimi di sosta, concitati momenti di una vita vissuta e sentita fino in fondo, fino al nocciolo di tutte le cose. La poetica di Marina Sandre parte da se stessa, è incentrata su di lei, sulla propria persona, sui giorni che si susseguono senza posa, sono componimenti lunghi che analizzano tutte le sfaccettature dell'esistenza, affidandosi ora al verso libero, ora alla rima. Ogni avvenimento è sviscerato nel profondo, nulla della sua giornata mostra un tono di una qualsivoglia superficialità [...].
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