I riti che non ci hanno tramandato
Cinquantanove liriche di Jacopo Gambini che si compongono e scompongono in tre parti distinte, ma coese. Ad accogliere il lettore, all'ingresso d'ognuna di esse, un'immagine. Occhi, sguardi che osservano il mondo, diversi ma uguali nel loro essere testimoni silenziosi di ciò che il poeta vede. Con la sua lente, a volte distorta, straniante, deformante, egli legge l'universo che lo circonda. Solo capace di scorgere realtà interstiziali, di leggere tra gli spazi vuoti, di cogliere ciò che al mondo sfugge. E l'autore stesso a parlare di sé. Di chi, in bilico su una nuvola, è intento a costruire le sue ali con la paura di cadere giù. Di chi sente e patisce il limite di orizzonti segnati, delle umane cose e per questo con il suo strumento tenta di volare oltre l'"inconsapevolezza del proprio naso". Così il lettore viene avvolto da una poesia dal senso universale.
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