Il gol è tutto
Per gli italiani, il Mondiale del '90 inizia ufficialmente il 9 giugno, al 78° minuto di Italia-Austria. Salvatore Schillaci, ultimo convocato, scende in campo e in quattro minuti segna il gol della vittoria. Iniziano allora le notti magiche, i girotondi di clacson, lo sventolio di bandiere e l'inno a Totò gol, in una vertigine che sembra non finire mai. I suoi occhi spiritati fanno il giro del mondo, sono gli occhi di chi per essere lì ha preso a morsi il destino. Solo così un bambino nato al Cep poteva salvarsi. Il quartiere popolare di Palermo è un posto dove i ragazzini si scambiano droga come altrove le figurine e rischi la vita anche per una partita in cortile. Se non hai un sogno a proteggerti, soccombi. Quel sogno per Totò è il pallone. Sono le mille lire che zu Paluzzo gli paga per ogni rete segnata, perché il gol è tutto. E così che si coltiva l'istinto. Dalla squadra dell'azienda degli autobus di Palermo al Messina e poi alla Juventus, e infine ai Mondiali, Schillaci si trova a confrontarsi con quei grandi che poco prima ammirava solo alla tv, il divin codino Baggio, il trio olandese delle meraviglie, Gullit-Rijkaard-Van Basten, e perfino re Maradona, che ha voluto scambiare proprio con lui la maglia. Che il successo non fosse scontato lo dimostra la parabola di suo cugino Maurizio Schillaci, anche lui calciatore, secondo Zeman "un grande talento, un fenomeno". Era Maurizio in famiglia "il fuoriclasse". Prima che un infortunio e la droga lo facessero precipitare nell'abisso, e vivere come un senzatetto. C'è tutto questo negli occhi euforici e spalancati sul mondo di Totò, insieme alla rivincita sui pregiudizi che lui da siciliano ha subito a lungo. Persino il grande Trapattoni all'indomani della strage di Capaci l'aveva accolto con un tagliente: "Avete ucciso anche Falcone". Racconta tutto adesso, Totò. Le sue origini, il suo carattere focoso, la passione per le donne e il sesso, che lo ha messo spesso nei guai, gli alti e bassi di una straordinaria carriera. E quella sensazione di camminare sempre su un filo molto sottile. Ma anche un'Italia dove tutti erano più felici senza saperlo e dove c'era ancora posto per tutto, perfino per la speranza.