Lo chef indiano
Sul treno che lo sta portando in Kashmir da Delhi, Kirpal ripensa alla prima volta in cui ha intrapreso quel viaggio, quattordici anni prima. Era poco più di un ragazzino, scosso per la morte del padre e desideroso di seguirne le orme. Ma, ai piedi del ghiacciaio dove suo padre era perito in battaglia, lui non era stato destinato alla guerra, bensì alle cucine del generale: il regno dello chef Kishen. Lungo il tragitto, Kirpal (o Kip, come era stato soprannominato) ricorda il suo estroso maestro, le cui ricette erano metafore della vita, condite con discorsi sulle donne e sulla politica. Tra quei piatti si era compiuto per l'ingenuo apprendista l'ingresso nella vita adulta e nel mondo dei sensi. Il pensiero corre anche a Irem, la prigioniera musulmana: il contatto più ravvicinato che Kip avesse mai avuto con il nemico. E con l'amore. Non conoscendo parole per quel sentimento, aveva trovato un linguaggio tutto suo: aveva cucinato per quella donna, seguendo il gusto che lei e la sua cultura preferivano. Perché in quel luogo, eternamente conteso tra India e Pakistan, Kip aveva imparato che ingredienti di terre lontane possono dialogare tra loro ed è impensabile imprigionare un aroma dentro un confine. Lo stesso Kip ora è in cerca di riconciliazione. Ha accettato di tornare per occuparsi del banchetto nuziale della figlia del generale. Ma prima c'è qualcosa da chiarire. Per liberarsi di un peso che lo accompagna da da quattordici anni: il motivo stesso che lo ha spinto a lasciare tutto.
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