Il metodo Sindona. Splendore e crollo di un banchiere che si fa assassino
«Il caos per Michele Sindona non è un deterrente; anzi, lo sprona. È pronto all’offensiva, su un terreno che finora nessuno ha mai calpestato. L’ordine mondiale è in bilico; la crisi, inattesa e profonda, spariglia le carte, l’impensabile diviene possibile; forse, pensa, è scoccata l’ora per gli avventurosi outsider, la campana suona per gli audaci, la spericolatezza diviene virtù. Imbaldanzito, ma forse anche istupidito dai suoi stessi successi, parte per sferrare l’attacco decisivo al cuore della borghesia industriale e finanziaria del paese». Un oscuro impiegato di banca della provincia siciliana diventa nell’arco di pochi anni uno degli uomini più ricchi e potenti d’Italia, a capo di un impero finanziario internazionale, in grado di condizionare le mosse dei politici più autorevoli. Fiumi di soldi, scorribande in borsa, azzardi, scalate societarie; perfino la celebrazione mondiale quale «salvatore della lira». E poi la fine ingloriosa, che nella rovina trascina tutti, i piccoli risparmiatori ma anche chi aveva cercato di smascherare l’inganno, portando alla luce gli illeciti che avevano permesso quell’ascesa. La parabola di Michele Sindona, raccontata nel libro attraverso un ampio ricorso a documenti e interviste, è la storia di un giovane intraprendente che arriva a Milano deciso a conquistare il mondo finanziario, sfoderando una logica aggressiva e creando nuove strategie, tanto da forgiare un vero e proprio «metodo Sindona». Un metodo in cui un fattore decisivo è costituito però dalle connivenze politiche, dalle alleanze con la criminalità organizzata, con la P2, con i servizi segreti deviati. Le complicità sono tante, come scrive Umberto Ambrosoli nella prefazione, e per anni consentono al banchiere un successo globale: «seguito e acclamato da commentatori, opinion leader, attori del mercato», solo in pochi riescono a opporsi, resistendo «chi a blandizie, chi a pressioni, chi a tentativi di corruzione, chi a intimidazioni o minacce». E pagando un prezzo ingiusto, altissimo. Nell’Italia che ha appena assaggiato il sapore del benessere, una finanza grossolana, priva di norme adeguate, è il ventre molle che permette il malaffare e la corruzione a tutti i livelli: «non c’era obbligo di comunicazione – osserva Marco Onado nella postfazione – e quindi gli scalatori aziendali erano avvantaggiati; non c’era una normativa insider trading e dunque le fonti riservate non erano illecite; non c’era obbligo di Opa e quindi i guadagni dello scalatore non dovevano essere condivisi con gli azionisti di minoranza». Uno scenario di cui Francesco Giordano porta alla luce i punti deboli, scioglie i nodi più oscuri, racconta le crisi valutarie, le vicende industriali, gli scontri politici e i lenti progressi di un ordinamento immaturo e anche per questo facilmente manipolabile da un uomo che nella sua ascesa e caduta, nel suo percorso violento e geniale, tragico e grottesco al tempo stesso, impiega in maniera esemplare un «metodo», una modalità criminale e canagliesca in realtà ampiamente diffusa, al punto da segnare una delle fasi più cupe della storia del nostro paese.
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