Vicenza nel Seicento. Uomini, poteri, istituzioni
L'orgoglio di Vicenza, forte dei privilegi di primogenitura ottenuti all'atto della dedizione a Venezia di due secoli prima, si sarebbe trasformato nel Seicento in «fedeltà e rassegnazione». Tuttavia le rivolte di Vicenza (1648), di Arzignano (1655) e infine la strage del Corpus Domini (1661), tre episodi tanto clamorosi quanto unici nella vicenda plurisecolare della Repubblica, fanno esplodere le contraddizioni di un'età di crisi profonda, che toccò non marginalmente lo Stato veneto e la società vicentina. Le tre parti del libro corrispondono ai campi di più stretta interrelazione tra potere centrale e periferico: giustizia, fisco e finanza, credito e annona. La periodizzazione tocca i secoli XVI e XVII, con sconfinamenti nel Quattrocento e nel Settecento e si focalizza sugli anni cruciali della guerra di Candia (1645-1669), quelli in cui a Vicenza fu più assiduo lo sforzo di rifacimento dell'estimo generale, quelli dell'inasprimento del prelievo statale, quelli infine in cui con più continuità si registrò l'invio di magistrati straordinari da Venezia per controllarne con poteri inquisitoriali l'amministrazione.
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