Il malinteso della bellezza. Per un'antropologia del corpo

Il malinteso della bellezza. Per un'antropologia del corpo

Epilazioni laser, trattamenti antiage, ambiziose nail art sono una piccola parte delle tecniche del corpo che le estetiste erogano ogni giorno alla “tribù del salone di bellezza”. Fra sieri e lozioni, quello che si erge è un quartier generale di appagamento dei bisogni estetici, per cui mettere le mani addosso al corpo (pensato in pezzi illimitatamente trasformabili) significa farlo corrispondere all’identità di chi lo abita, ricondurne le fattezze a ciò che sarà chiamato a significare per gli altri e fabbricarne immaginari in cui il miglioramento non solo è senza fine, ma è una crociata contro la finitudine umana. Le habitué del beauty center si concepiscono come vite prigioniere di corpi-Tupperware, esistenze i cui limiti sono mancanze imputabili a quel “fratello siamese, né me né separabile da me”. Così, indissolubilmente legate alla pelle di cui sono fatte, professano la religione del “sentirsi bene con sé stesse”, senza avere la piena consapevolezza di cosa tutto questo significa. Prefazione di Vera Gheno.
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