Interiorità ed espressione
"I testi giovanili di Giorgio Colli qui esemplarmente raccolti da Luca Torrente e Maicol Cutrì offrono un eccezionale contributo alla comprensione della genesi del pensiero di uno dei maestri della cultura italiana del Novecento e, insieme, permettono di riflettere sulle ragioni per le quali la sua opera filosofica è rimasta in qualche modo in ombra rispetto all’influsso che egli ha esercitato come filologo e editore di testi (basti qui ricordare l’edizione critica delle Opere di Nietzsche e dei presocratici per la casa editrice Adelphi e la straordinaria collana “Enciclopedia di testi classici” per Boringhieri). Questa imponente attività editoriale non può essere pienamente intesa se la si separa dall’opera filosofica, di cui gli scritti qui raccolti permettono di cogliere in nuce la singolarità e la continuità. Non soltanto, attraverso l’«Abbozzo di un sistema filosofico» del 1936-37 e gli «Appunti» dal 1947, possiamo qui entrare nel laboratorio dove si va formando quel concetto di “espressione” che è al centro del suo pensiero, ma il saggio ultimato del 1937 sull’Idea di giustizia per i pitagorici ci mostra una prima, inedita testimonianza di quella particolare attenzione per le implicazioni politiche del pensiero che non abbandonerà mai Colli. Per il giovane Colli la conoscenza non è rappresentazione e comunicazione, ma espressione di una immediatezza che deve restare ignota. Il filosofo – questo è per Colli il suo speciale eroismo – è un uomo che innanzitutto rinuncia a comunicare e a farsi capire e, come Eraclito, dà per scontato che «non una goccia della sua ricchezza sarà usufruita»". G.A.