Lo spirito aspetta cent'anni
È un Natale rovente a Durban, come non se ne vedono da anni. Sana sta andando a casa. Non una vera e propria casa, ma l’ennesimo, nuovo indirizzo scelto da suo padre. Lui è convinto che le acque dolci della costa orientale li aiuteranno a lasciarsi alle spalle il dolore per la perdita della madre di Sana, sua moglie. La nuova casa è Akbar Manzil, un tempo la tenuta più maestosa di quel tratto di costa sudafricana. Quando le navi dall’Europa entravano in porto, i passeggeri rimanevano estasiati alla vista del maniero, con i suoi parapetti in marmo, le torri in stile romanico, le cupole dorate. Ora gli antichi fasti sono solo un ricordo: oggi Akbar Manzil è un residence un po’ in disarmo dove si viene per dimenticare, o farsi dimenticare. Ad accogliere Sana e suo padre col loro lutto da elaborare, grandi finestre che li osservano come occhi spenti e, stretto fra corridoi bui, un appartamento polveroso. Il palazzo tuttavia è un territorio che chiede di essere esplorato, in particolare l’ala est, dove non va mai nessuno: solo oggetti dimenticati, porte sbarrate. L’ala dove c’è una stanza chiusa, congelata nel tempo, che contiene foto sbiadite di una coppia felice e un diario che sussurra i suoi segreti. Una stanza le cui pareti vibrano di una presenza: Meena. Sana è un’adolescente sola e la storia di Meena diventa la sua unica compagnia: quella giovane donna morta quasi cent’anni prima in circostanze misteriose, il suo sogno d’amore distrutto. Ma quando la verità sembra vicina, un’ombra impalpabile e insistente inizia a risvegliarsi dal suo lungo sonno e ad Akbar Manzil cambierà ogni cosa. Per i vivi e per i morti. Certe cose non rivedono mai la luce. Gridano, battono i pugni contro il destino, nella speranza di essere scoperte. Una lettera dimenticata sotto uno schedario, un bottone d’avorio in un divano. Fremono di rabbia per la loro palese irrilevanza. Alla fine si placano. Si rassegnano al destino e contemplano il tempo che scorre. Ma continuano a sperare.