Di spalle a questo mondo
Fin da bambino Ferdinando ha odiato la morte al punto da fare della salvezza la sua ossessione di medico. Ma una vocazione così grande, scontrandosi con le iniquità subite, non può che fallire e trovare casa nella follia. Olga, nella sua infanzia a Rostov, ha dovuto misurarsi proprio con l’alienazione materna, quintessenza di Storia e fragilità. Unico scampo da essa la fuga, frenata da una radice nascosta sotto la neve e dalla zoppia, che diventa destino e comunione con l’imperfetto. Ma si può vivere a un passo dall’ideale? Ferdinando, dal buio della sua ratio opacizzata, continuerà a salvare asini e pupi; mentre Olga, pur guarita dalla scienza e dall’amore di Ferdinando, tornerà a claudicare. Voi non credete che quando ci spezziamo è per sempre? La domanda che Olga rivolge al pittore Edoardo Dalbono è sintesi di una irreparabilità e di una caduta che restano perenni.Proposto da Giulia Ciarapica al Premio Strega 2025 con la seguente motivazione:«Di spalle a questo mondo di Wanda Marasco (Neri Pozza) è di certo un romanzo ispirato al racconto della vita di Ferdinando Palasciano, primo chirurgo a proclamare il principio di neutralità dei feriti di guerra e che, come quel Vincenzo Gemito che pare consegnargli il testimone, trovò nella follia uno sguardo più lucido sulla realtà. Così com’è anche il romanzo di un’altra protagonista, Olga Pavlova Vavilova, moglie di Palasciano. Ma dire che il romanzo di Marasco si limiti a questo, vorrebbe significare la negazione di un senso più profondo dell’intera storia, fatta innanzitutto di ricerca stilistica più che di trama. Se è vero che la claudicanza di Olga è pronta a trasformarsi in una zoppia universale, che appartiene a noi tutti – uomini e donne di ieri e soprattutto di oggi –, è altrettanto vero che questa claudicanza interiore ha uno scopo principe in questo romanzo, quello di attribuire una verità alla fragilità umana. Marasco parte dal corpo, e in primo luogo quello dei due protagonisti, per far sì che proprio questo strumento umano si trasformi in uno strumento di scrittura, un mezzo attraverso cui l’autrice – con tutta la sua personalità drammaturgica – ci racconta chi siamo stati e cosa continuiamo a essere. Lo fa con una lingua che non ha altri punti di riferimento se non sé stessa, un lavoro di artigiano raffinatissimo che unisce più dimensioni: la lingua di appartenenza, quella delle madri, quella d’origine casalinga (dunque dialettale); quella imparata, con lo studio e la pazienza; e quella della poesia, grazie a cui Marasco, con pochi termini sontuosi e tuttavia terreni, riesce a dare parola e sostanza all’invisibile che rincorriamo ogni giorno.»
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