La felicità non sta mai ferma. Storia di Leo, il mio bambino ribelle
Leonardo, che ancora nella pancia scalcia così forte da staccare la cartilagine di una costola a Chiara («In trent'anni di lavoro non ho mai visto una cosa del genere», dice il radiologo). Leo, che da neonato piange senza sosta e dorme pochissimo; che appena impara a usare le mani vuole smontare le prese elettriche e appena impara a camminare corre e sbatte dappertutto. Leo, che al parco giochi spinge e picchia gli altri bambini, e non si capisce perché. Come mai non si calma, come tutti (nonni, pediatri, maestre d'asilo) assicurano che farà, col tempo? Perché Chiara non riesce in nessun modo a farlo comportare da "bravo bambino"? Forse hanno ragione in paese, dove in tanti reputano Leo un teppistello maleducato e lei una cattiva madre? Leo non sembra un bambino ma due: uno è ribelle, agitato, non sta fermo un attimo e non ubbidisce, ha reazioni imprevedibili e a volte violente; l'altro è dolce, intelligente, capace di dare attenzioni e ricevere affetto. Con l'aiuto di una psicologa infantile, Chiara scopre che Leo soffre del disturbo da deficit di attenzione e iperattività (adhd), una sindrome di cui si sa ancora molto poco, nelle famiglie e nelle scuole, nonostante le diagnosi si stiano in questi anni moltiplicando. Oggi che Leo ha dieci anni, che ha degli amici a scuola e fuori, che suona la batteria e gioca a basket, Chiara ha deciso di raccontare la loro storia, così che sempre meno genitori si ritrovino smarriti di fronte a questi bambini, sempre meno insegnanti li trattino come piccoli delinquenti, sempre meno persone li giudichino, li isolino, non li capiscano.
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