Pellegrinaggio
Scrittore già famoso nella Russia ante 1917, sopravvissuto al nuovo regime ma costretto a emigrare nel 1922, in Francia aveva intrapreso la stesura di "Pellegrinaggio" nella disperazione, “sull’orlo di un abisso”: per lo sradicamento dal Paese e dalla sua cultura, soprattutto dalla lingua natia, fatto che temeva alla lunga esiziale per il suo stesso lavoro creativo. E invece proprio con gli strumenti linguistici e narrativi ch’egli padroneggiava alla perfezione e intenzionato a provvedersi di qualcosa come un “antidoto” per potere sopravvivere alla ridda degli orrori sperimentati e raccontati, compone, per molte pagine nel tradizionale alveo della narrazione “orale” (lo skaz), un nuovo – e diverso – capolavoro, ricco di apologhi, smaglianti episodi tra fede vissuta e suggestioni fiabesche. La rievocazione-immedesimazione narrativa di sé stesso bambino di sette anni, in compagnia di operai e artigiani dell’azienda del padre, che attorno al 1880, percorre a piedi i 70 chilometri di un pellegrinaggio alla volta della Lavra della Trinità e di san Sergio, il grandioso monastero-fortezza culla e principale centro spirituale (e anche storico) della Moscovia-Russia fin dal XIV secolo, è per Ivan una sorta di percorso iniziatico. Non per esorcizzare paure ma per scoprire i veri valori di una vita degna di essere vissuta. Vi sovrintende lo stupore, il “miracolo” della Natura in armonia con la Fede, i “prodigi” della semplice solidarietà tra le persone, specie i più svantaggiati, in un’aura di comunanza di intenti, anche tra umoristici screzi, del drappello di pellegrini “con la cavalla Guercina e il suo calessino di rinforzo” per i bagagli.
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