L'immoralità no global
Ancorché non si tratti di fenomeno del tutto nuovo, la globalizzazione ha creato apprensioni, alle quali si è risposto in varie forme: i 'no-global' hanno posto l'accento sui problemi provocati dall'internazionalizzazione in contesti più o meno regolamentati; i 'semi-gIobaI' hanno sottolineato la necessità di passare da modelli di regolamentazione per l'intera comunità internazionale; i 'global' infine hanno documentato come la libertà economica sia un gioco a somma positiva per tutte le economie coinvolte, indipendentemente dal loro grado di sviluppo. In queste pagine si afferma invece che la globalizzazione è ben più che una questione di statistiche e simulazioni. E' la possibilità, per l'individuo, di soddisfare le proprie preferenze con il minor sforzo possibile, distruggendo al tempo stesso i privilegi di coloro che, sfruttando protezioni statali di varia natura, prosperano a danno dei non-privilegiati (di solito i consumatori). In altri termini, la globalizzazione non è da difendere perché fonte di crescita, bensì perché è 'giusta', ed è giusta perché amplia le possibilità di scelta dell'individuo. Chi vi si oppone è coerente e credibile solo se nega la dignità umana, cioè la capacità di scegliere e decidere autonomamente. Ai 'no-global' incombe quindi l'onere di indicare i criteri religiosi, razziali, geografici, reddituali in base ai quali alcuni si ritengono in diritto di imporre agli altri le proprie valutazioni e le proprie preferenze.
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