Il problema della casa in Italia

Il problema della casa in Italia

Il problema della casa per Angelo Costa si presenta sotto molteplici aspetti: economico, sociale e morale, ma possiede anche una dimensione educativa. A questo problema egli dedicò un'attenzione continua, per oltre un trentennio, come testimoniano i suoi scritti qui raccolti. Il suo obiettivo principale era quello di trovare il modo migliore per diffondere la proprietà edilizia nei ceti popolari. A questo scopo egli si impegnò anche nella stesura di concreti progetti al fine di limitare, anche nel settore abitativo, i danni dello statalismo, del clientelismo demagogico, dell'utopismo. Contro gli architetti ignoranti di economia, contro i politici che tutto facevano per rendere più care le abitazioni, contro quanti volevano ricorrere al "risparmio forzato" per attenuare il problema della casa, contro quanti intendevano far beneficienza con i soldi altrui imponendo il blocco degli sfratti o una legislazione vincolatrice degli affitti, Costa ribadì il fatto che anche per questo problema "il metodo del ripiego eretto a sistema non risolve i problemi ma li aggrava e soprattutto ne crea dei nuovi e spesso molto più gravi". Molti dei provvedimenti di legge governativi, in primis quelli proposti da Fantani, volti a favorire l'edilizia popolare furono da Costa ritenuti inopportuni, anzi dannosi e moralmente diseducativi. Egli ne condivideva il fine, ma ne contestava i mezzi. "L'interesse di creare una proprietà a favore delle singole famiglie dei lavoratori - egli scriveva - è un interesse sociale che va a vantaggio di tutta la collettività e perciò può giustificare che la collettività sopporti una parte del costo, ma è anche evidente che la collettività può essere obbligata a far sacrifici per beneficiare i singoli individui (...) L' ideale sarebbe quello di creare un sistema che possa dare una diffusa proprietà della casa ai lavoratori con il minimo sacrificio collettivo e con non eccessivo vantaggio economico per i beneficiari". Egli riteneva, infatti, che la proprietà "per avere un valore morale" dovesse "avere la sua origine in un sacrificio volontario" e che "la proprietà imposta attraverso un'estrazione a sorte" mancasse "di sano fondamento". A suo avviso, la soluzione del problema doveva essere trovata nel favorire massimamente, e nel premiare con adeguati incentivi, anche a fondo perduto, quel risparmio volontario da parte dei singoli che fosse finalizzato all'acquisto dell'abitazione. Nel contempo, i politici, se volevano ben operare, non avrebbero mai dovuto dimenticarsi che "il problema della casa da qualunque punto di vista venga esaminato - e cioè sia dal punto di vista delle nuove costruzioni, come da quello dei fitti o del blocco degli sfratti -" risulta essere "sempre unico e inscindibile e non può essere affrontato con provvedimenti indipendenti l'uno dall'altro".
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