Dei delitti e delle pene
Saggio scritto dall'illuminista milanese Cesare Beccarla (1738-1794) tra il 1763 e il 1764, in cui l'autore si pone delle domande circa le pene allora in uso. Nonostante il notevole successo e la vasta eco in tutta Europa (la zarina Caterina II di Russia mise in pratica i princìpi fondamentali della riforma giudiziaria in esso proposta, mentre nel Granducato di Toscana venne perfino abolita la pena di morte), nel 1766 il libro venne incluso nell'indice dei libri proibiti a causa della distinzione che vi si ritrova tra reato e peccato: l'autore afferma, infatti, che il reato è un danno alla società, a differenza del peccato, che, non essendolo, può essere giudicabile e condannabile solo da Dio. Alla base di questa distinzione sta la tesi secondo cui l'ambito in cui il diritto può intervenire legittimamente non attiene alla coscienza morale del singolo. Inoltre, per Beccarla non è "l'intensione" bensì "l'estensione" della pena a poter esercitare un ruolo preventivo dei reati, motivo per cui, fra l'altro, esprime un parere negativo nei confronti della pena capitale, comminando la quale - afferma - lo Stato, per punire un delitto, ne compie uno a sua volta. E il diritto di "questo" Stato, che altro non è che la somma dei diritti dei cittadini, non può avere tale potere: nessuna persona, infatti, darebbe il permesso ad altri di ucciderla.
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