La città radicale di Ludovico Quaroni. Ludovico Quaroni e la Scuola di architettura di Roma negli anni Sessanta
Ludovico Quaroni, uno dei principali maestri italiani dell'architettura del secondo dopoguerra - problematico e affascinante intellettuale romano del suo tempo - negli anni Sessanta del secolo scorso, spinto dalla propria inquietudine culturale, sembrò volersi fare interprete dei sogni smisurati di un'epoca che, al culmine del miracolo economico e sociale, parve aprire una nuova età dell'oro a noi italiani. Egli coinvolse totalmente sé stesso, la sua cattedra, i suoi assistenti, gli studenti nel suo più ambizioso progetto di ricerca; una città lineare tra Roma e Firenze, un immenso Continuum disteso nelle valli del Tevere, di Chiana e d'Arno; una vera No-stop City, un paesaggio nuovo immerso nel paesaggio antico, dove la forma urbana, continuamente generata da un inesauribile processo di produzione industriale, non avrebbe dovuto sostenere funzioni definite, ma sollecitare incessantemente le emozioni sensuali, intellettuali e creative degli individui di una società immaginata ormai totalmente fluida, priva di vincoli, di limiti, di ideologie. Ma nel marzo del 1968, la contestazione giovanile spostò improvvisamente il fuoco dell'utopia e inflisse una rotta decisiva alle visioni dell'architettura radicale borghese non soltanto italiana - di cui faceva parte la città radicale di Ludovico Quaroni, nata con la sconfitta negli occhi - ma anche inglese, olandese; europea in una parola. Oggi, a più di cinquanta anni dalla sua brusca fine, è tempo di raccogliere ciò che del Continuum di Quaroni anima ancora la memoria dei suoi amici di allora, dei suoi studenti migliori, dei suoi allievi. Ma per poter rileggere quel lontano capitolo della ricerca d'architettura italiana, romana in particolare, occorre ricostruire il "sentire moderno" di Ludovico Quaroni, che non è più il sentire nostro - se ancora fra noi vive un "sentire moderno" - e occorre anche riprodurre la scena in cui si svolse il dramma della sua città radicale; la scena, dunque, della facoltà di architettura della Sapienza e dei suoi protagonisti, riportata all'epoca nella quale adottare un metodo di progettazione o uno stile significava scegliere tra etiche opposte, tra politiche avverse e interpretazioni della storia inconciliabili tra loro. Per questo il nostro libro, al cui centro sta il Continuum di Ludovico Quaroni, inizia con un testo - Quaroni brucia - che si inoltra nel problema della modernità per tentare di comprendere come esso fu vissuto dallo stesso Quaroni; e si chiude con un altro testo - Quaroni Muratori, tra dialogo e silenzio - che riapre, con commozione, il sipario del palcoscenico dove pochi maestri, troppo bravi per tanti di noi, consumarono la loro irriducibile sfida incrociata - la loro stessa vita - con un impegno, una speranza, una passione, una capacità di sofferenza, una sincerità, una generosità e una fede nell'architettura che per molti sono ormai, difficilmente comprensibili.
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