Le lunghe strade della solitudine

Le lunghe strade della solitudine

A Codigoro Attilio mandava avanti la sua vita con non troppa soddisfazione. Si capiva da come cercasse sempre nuove emozioni e sorprese per gli amici che, se non ci fossero stati, non avrebbe saputo che inventarsi. Suo padre era dirigente regionale e guadagnava anche troppo, e si potevano spendere denari in quantità. Gli aveva persino regalato un'auto di grossa potenza dopo la laurea in ingegneria elettronica. E lì cominciarono i guai, prima con la gita a Montecarlo, dove si provò una corsa in città, poi con la serata in discoteca e la sbronza pagata a tutta la compagnia e lo schianto sul pino grosso lungo la strada del ritorno. Lo stesso che era stato oggetto di foto di gruppo. Ci volle un'operazione non da poco, all'estero, e un intervento complesso alle ossa delle gambe, tanto che Attilio divenne più alto di qualche centimetro, come pure desiderava una volta. Ma dovette rinunciare alla macchina, diventata un rottame. Perciò la fidanzata, Eleonora, lo accompagnava con la sua all'abbazia di Pomposa, dove lui passava i giorni a pensare, a leggere e dove incontrò un certo frate Guido. Fu lui che gli fece studiare l'Africa, tramite un grosso volume della vecchia biblioteca. Allora cominciò una seconda e nuova vita. Giacché era stata organizzata una vacanza in Congo, ma ci furono dei pirati che sequestrarono l'aereo e dirottarono i passeggeri nel Burundi. Dove Attilio riuscì a sfuggire alle pessime intenzioni dei terroristi e a rifugiarsi in una missione, da un altro frate: Giocondo. E ci rimase un anno.
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