Commento al libro XXVI di Tito Livio
Come affermato nei paragrafi prefatori del libro XXI, Livio considerava la seconda guerra punica il conflitto più importante mai combattuto da Roma, un vero e proprio punto di svolta nel percorso che la portò a estendere il proprio dominio su tutto il bacino del Mediterraneo. Consapevole della centralità storica di quest'evento ma anche delle sue grandi potenzialità narrative, lo storico augusteo dedicò alla guerra annibalica l'intera terza decade, offrendone un racconto coeso, frutto di un'attenta regia autoriale. Le due metà di cui si compone la decade raccontano prima il declino di Roma, colpita da sconfitte sempre più cocenti e dal tradimento delle comunità italiche, poi la sua progressiva riscossa, fino al confronto finale a Zama. In questo quadro, il libro XXVI assume un ruolo di cardine narrativo, di momento inaugurale del nuovo corso che Roma riuscì a imprimere agli eventi; nel libro si susseguono episodi che segnalano il momento di svolta nel progresso della guerra e prefigurano la futura vittoria sui Cartaginesi: dalla riconquista di Capua, altra grande antagonista di Roma, fino all'entrata in scena di Scipione, che a Nova Carthago ottiene il primo dei molti trionfi che condurranno alla definitiva vittoria su Annibale. Di questi eventi Livio offre un racconto non soltanto raffinato sul piano stilistico e narrativo, ma soprattutto denso di questioni morali e complessità ideologiche, come il trattamento da riservare ai vinti o l'evoluzione che l'ethos romano dovette subire per fronteggiare Annibale. L'opera liviana si conferma così non soltanto un grande monumentum storiografico, ma anche il riflesso dei profondi mutamenti che caratterizzarono l'età augustea.
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