Il corpo e la parola
"Questo corpo è mio?" domanda con meraviglia Anna a Blanche in Diario di una schizofrenica. "Mamma il corpo mi fa paura" dice alla madre una bambina di cinque anni. "Mi tocco e non mi sento." "La pelle non mi avvolge più." "Non so dove comincio, dove finisco" grida a se stessa una donna nel panico. Non è dunque evidente che io sia il mio corpo o che io abbia il mio corpo. Il corpo è una conquista per niente scontata e possiamo chiederci cosa succeda se questa acquisizione non si compie del tutto. L'esperienza del corpo non è mai naturale ed è possibile addirittura arrivare a rifiutare il corpo in quanto rimbalza come alterità e luogo di angoscia. Noi non sappiamo dove inizia e dove finisce un sesso. La dimensione materica del corpo che ne testimonia la finitezza non è evitabile. Corpo e parola rappresentano una feconda antinomia da cui storicamente è nata la psicanalisi. Molte sono le domande che questo accostamento provoca. In che modo la parola racconta il corpo? E il corpo può dire la parola o può solo sostituirsi ad essa? Il nostro corpo può sempre dire la gioia di essere. Senza parole. La parola può cercare tramite il sapere di normalizzare il corpo, dargli un sistema di regole. Il passaggio all'atto sostituisce in maniera massiccia la parola dando vita ad agiti parlanti. La parola porta un rumore che nel linguaggio non c'è e che rivela la materia del corpo.
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