Uno specchio per i principi. Le tragedie di Pomponio Torelli (1539-1608)
Sul finire del XVI secolo anche il genere tragico, l'ultima e più sofferta conquista innestata sul supremo esempio della tradizione classica, poteva oramai dirsi del tutto assimilato alla produzione culturale italiana. La via battuta da Trissino, Giraldi e Aretino aveva trovato il suo culmine nel Torrismondo tassiano, di cui le tragedie di Pomponio Torelli sono figlie precoci ma già sorprendentemente mature. Composti in poco meno di un ventennio in un piccolo castello della campagna parmense, i cinque titoli del Conte di Montechiarugolo (Merope, Tancredi, Galatea, Vittoria e Polidoro) stupiscono per l'alto tasso di sperimentazione e per la varietà di fonti letterarie cui si ispirano, dal magistero euripideo ai più recenti "classici" del medioevo volgare (Boccaccio e Dante). Sullo sfondo si staglia un unico, grande tema: il rapporto del sovrano con il suo popolo e le responsabilità cui è chiamato a rispondere chi detiene il potere, nella certezza che questo non vada esercitato in solitaria bensì con il generoso ausilio di tutta la società civile.
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