Quando abbiamo smesso di capire il mondo

Quando abbiamo smesso di capire il mondo

La nascita della scienza moderna in un lussureggiante intrico di storie«Nel suo appassionante viaggio tra le scoperte che hanno rivoluzionato il nostro modo di vedere il mondo, Benjamin Labatut ribalta ogni luogo comune su chi le ha compiute. E soprattutto sul loro metodo: più visionario che positivista» - Marino Niola, Robinson «Si accendono come visioni, come improvvise epifanie, i capitoli di Quando abbiamo smesso di capire il mondo» - Left«La matematica e la scienza raccontate come un'inquietante, grandissima storia di fantasmi» - Philip PullmanC'è chi si indispettisce, come l'alchimista che all'inizio del Settecento, infierendo sulle sue cavie, crea per caso il primo colore sintetico, lo chiama «blu di Prussia» e si lascia subito alle spalle quell'incidente di percorso, rimettendosi alla ricerca dell'elisir. C'è chi si esalta, come un brillante chimico al servizio del Kaiser, Fritz Haber, quando a Ypres constata che i nemici non hanno difese contro il composto di cui ha riempito le bombole; o quando intuisce che dal cianuro di idrogeno estratto dal blu di Prussia si può ottenere un pesticida portentoso, lo Zyklon. E c'è invece chi si rende conto, come il giovane Heisenberg durante la sua tormentosa convalescenza a Helgoland, che probabilmente il traguardo è proprio questo: smettere di capire il mondo come lo si è capito fino a quel momento e avventurarsi verso una forma di comprensione assolutamente nuova. Per quanto terrore possa, a tratti, ispirare. È la via che ha preferito Benjamín Labatut in questo singolarissimo e appassionante libro, ricostruendo alcune scene che hanno deciso la nascita della scienza moderna. Ma, soprattutto, offrendoci un intrico di racconti, e lasciando scegliere a noi quale filo tirare, e se seguirlo fino alle estreme conseguenze.
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Recensione del libro fornita da lottavo.it

Di Geraldine Meyer

Vita e morte, eros e thanatos, cadaveri e erezioni. Un caleidoscopio di immagini che costruiscono un testo in cui le figure degli scienziati vengono immersi nella stessa materia di cui sono fatti i loro studi che, in fondo, è la vita stessa, in cui qualcuno impazzisce e qualcuno, come Schwarzschild si pone interrogativi ontologici perché: “solo una visione di insieme, come quella di un santo, di un pazzo o di un mistico, ci permetterà di decifrare la forma in cui è organizzato l’universo.” Ma ciò che colpisce, e forte, in questo libro è l’aspetto etico...

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