La sorella

La sorella

"Fu quello il momento in cui 'cominciò', in cui la mia vita si separò da tutto quello che precedentemente ne aveva costituito la condizione e il senso, in cui qualcosa in me morì, e io allo stesso tempo rinacqui, come se fossi morto per la vita e nato per la morte". A poche ore dal confine italiano, nel vagone letto di prima classe di un treno diretto a Firenze, Z. - il grande, celebre pianista atteso in Italia per un concerto - capisce che nulla sarà mai più come prima: che forse non rivedrà più E., la donna alla quale è legato da un rapporto ambiguo e morboso, in un triangolo il cui terzo vertice è un marito consapevole e benigno; che forse quella sera suonerà per l'ultima volta (e suonerà Chopin, perché la radio ha appena dato la notizia della caduta di Varsavia); che tutto, insomma, sarà "diverso". Ma diverso come? Gli ci vorranno mesi per capirlo: quelli che trascorrerà, colpito da un rarissimo virus, in un ospedale di Firenze dove verrà condotto subito dopo il concerto. Di rado un romanzo ha saputo raccontare la malattia con tale precisione, tensione, crudezza, in una osmosi allucinatoria tra fisico e psichico. Stremato dalle feroci, subdole aggressioni del dolore, o stordito da misericordiose iniezioni di morfina, Z. compirà un vero e proprio attraversamento della morte. Ad accompagnarlo "sull'altra sponda" saranno quattro entità femminili - "angeliche ruffiane", presenze vigili e benefiche ma anche inquietanti, a volte, e sempre sfuggenti -, quattro suore. E nel momento in cui sembrerà che Z. abbia definitivamente rinunciato a lottare sarà proprio una di loro a dirgli: "Non voglio che lei muoia". Ma quale? Per quante ipotesi faccia, Z. non riuscirà mai a stabilire con assoluta certezza a chi appartenga la voce che una notte, nel buio della stanza, gli ha chiesto di vivere. Eppure sarà proprio quella "forza femminile", quella energia che agisce mascherata, a lottare per lui, e a ricondurlo alla vita - anche se con tracce indelebili di quel che ha patito. "Cherubina era bella. Di una bellezza femminile, carnale: una bellezza che era cresciuta e maturata tra le vette rocciose, all'aria dolce delle montagne altoatesine baciate dal sole, ed era portata con orgoglio e consapevolezza, quasi volesse continuamente farne dono a Dio ... Era una monaca nel senso più antico e profondo del termine: la promessa che l'aveva posta al servizio di Dio e degli uomini doveva ancora essere per lei un contratto insensibile, come all'alba dei tempi, quando il patto che Dio e l'uomo stringevano aveva una forza in grado di dare forma al mondo. Ma di tutto ciò Cherubina non sapeva nulla, naturalmente ... E poiché era bella e giovane - più tardi venni a sapere che a quell'epoca non aveva ancora compiuto trent'anni -, nel suo sorriso, quando appariva davanti al mio letto, scorgevo una sorta di richiesta di perdono".

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