Il sipario
Da tempo Kundera accompagna la sua attività di romanziere con una costante riflessione sul romanzo, che è per lui un'arte autonoma, da leggere non già nel "piccolo contesto" della storia nazionale, ma nel "grande contesto" della storia sovranazionale - di quella che Goethe chiamava Weltliteratur. Sterne reagisce a Rabelais e ispira Diderot, Fielding si richiama a Cervantes e con Fielding si misura Stendhal, la tradizione di Flaubert si prolunga in Joyce ed è pensando a Joyce che Broch sviluppa una poetica del romanzo - Kafka fa comprendere a García Márquez come sia possibile scrivere in maniera diversa: è questa l'idea che Kundera ci offre del romanzo, organismo delicato, prezioso, che vive di un'unica storia dove gli scrittori dialogano in segreto e si illuminano vicendevolmente. Ma questo non è l'unico aspetto stupefacente di una riflessione lontana anni luce dal provincialismo delle storie letterarie, dal narcisistico gergo della "teoria della letteratura" e dalla seriosità inamidata degli agelasti, coloro che non sanno ridere. Quando parla del romanzo Kundera fa pensare, anziché a un dotto accademico che professi dalla cattedra la sua rispettabile disciplina, a un pittore che ci accolga nel suo atelier gremito di quadri e ci racconti di sé ma soprattutto degli altri , di quelli che ama e che lo hanno ispirato: vale a dire dei romanzi che agiscono, come una occulta presenza, all'interno della sua opera. E il suo racconto è nitido, di una impressionante trasparenza, e insieme lieve, piacevole. È così, salvaguardando gelosamente il proprio linguaggio e sfuggendo come la peste il gergo degli eruditi, che un romanziere come Kundera, capace di lacerare il "sipario della preinterpretazione", parla di ciò che più gli sta a cuore: la ragion d'essere del romanzo, ultimo osservatorio dal quale sia possibile abbracciare la vita umana nel suo insieme .