Terrore dal mare
Gran parte delle centoquarantatremila navi che incrociano al largo delle nostre coste appartengono a compagnie di comodo, imbarcano marinai sprovvisti persino di documenti personali, e possono cambiare più volte bandiera e nome durante la navigazione. Gli oceani sono ormai un'immensa distesa anarchica, dove può accadere che carrette pronte per la demolizione affrontino furiose tempeste nel Golfo di Biscaglia, che traghetti di linea colino a picco nel Baltico per un patente difetto di fabbricazione (uccidendo centinaia di persone), che grandi carghi vengano abbordati da un'imbarcazione pirata nello Stretto di Malacca e spariscano nel nulla. E se la vita di molte navi è spettrale, la loro fine rischia di essere ancora più sinistra. In genere, l'ultimo atto ha per teatro la sterminata spiaggia di Alang, in India, dove un esercito di termiti umane è in grado di ridurre in poche settimane un mercantile al suo scheletro malinconicamente coricato sulla sabbia. Ma esiste un'altra possibilità assai realistica, che nella sua appassionata esplorazione di questa immensa area di tenebra, particolarmente adatta alla pratica del crimine e del terrore, William Langewiesche ha voluto sondare. Ed è quella che un qualunque portacontainer con un carico letale attracchi indisturbato alle banchine di New York, di Londra o di Genova, e che per farlo scelga la via più diretta, e cioè rispettare alla lettera l'intrico di regolamenti e procedure escogitati per tenere sotto controllo il mondo della navigazione.
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