Invito a una decapitazione
Il protagonista di questo romanzo, Cincinnatus C., ha un difetto: è "opaco", nel senso che i suoi pensieri e le sue sensazioni non sono trasparenti agli occhi di coloro che lo circondano - perciò produce "una strana impressione, come di un solitario, oscuro ostacolo in quel mondo di anime reciprocamente trasparenti". In quel mondo, che lungi dall'essere un paradiso - come gli ignari sarebbero inclini a pensare - è piuttosto il suo beffardo capovolgimento, l'opacità non è solo un difetto, ma una grave colpa, forse la più grave: è il segno che rivela la "turpitudine gnostica" del singolo. In quel mondo si viene condannati a morte non per ciò che si fa ma per ciò che si è. Quindi Cincinnatus dovrà essere decapitato - e non sa quando. Cincinnatus non ha fatto nulla di turpe, ma certamente è uno gnostico, se non altro perché vede il mondo attorno a sé come l'abborracciata messa in scena di un funesto demiurgo. E la sua percezione è esatta: la cella, con il ragno obeso che condivide la vita del condannato, e tutto ciò che gli appare - il carceriere, il compagno di prigionia, la moglie in visita con codazzo di parenti e l'amante del momento, la madre, la figlia dodicenne del direttore del penitenziario ("volatile fanciulla" in cui si riconoscerà un prodromo, carcerario e lancinante, di Lolita): tutto è parodia. Salvo che, in quel mondo, le parodie uccidono. E uccidono mantenendo un'aria "di calda 'camaraderie'" (è la perfezione della tortura). Questo romanzo, che Nabokov scrisse nel 1934 a Berlino distogliendosi dalla stesura del "Dono", come se costretto da una mostruosa pressione sulla nuca, è il primo e più chiaroveggente ad avere per oggetto la società totalitaria. Il che, oltre alla sua strepitosa inventiva letteraria, dovrebbe bastare a farne un romanzo per tutti. "Accusato del più spaventoso dei crimini, la turpitudine gnostica così rara e indicibile da rendere necessario il ricorso a circonlocuzioni quali "impenetrabilità", "opacità", "occlusione"; condannato per quel crimine alla decapitazione; imprigionato nella fortezza in attesa della data ancora ignota, ma vicina e inesorabile (che egli nitidamente immaginava come lo strappo, lo strattone, lo scricchiolio di un dente mostruoso, tutto il suo corpo era la gengiva infiammata e la sua testa quel dente); ora, in piedi nel corridoio della prigione, sentendosi mancare - ancora vivo, ancora intatto, ancora cincinnatico -, Cincinnatus C. provò una bramosia selvaggia di libertà, la libertà più comune, la più fisica, la più fisicamente attuabile, e all'istante, con sensuale chiarezza, come se il tutto fosse una corona solare fluttuante che emanava da lui medesimo, immaginò la città oltre il fiume poco profondo, la città dove, da ogni parte, si poteva vedere - ora sotto questo ora sotto quello scorcio prospettico, ora a matita ora a inchiostro - l'alta fortezza in cui egli si trovava".
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