Il Mahabharata raccontato da una bambina. 2.
Dopo aver portato felicemente a termine la prima parte del "Mahabharata", Samhita Arni, la nostra narratrice dodicenne, si concede un meritato riposo. Poi, ritemprata dal breve intervallo, si rimette all'opera e nel giro di quattro mesi completa il testo, corredandolo di nuove illustrazioni. E' più matura, e lo si avverte: il ritmo impresso all'azione è ora incalzante, il tono più intenso, contagioso, e i disegni hanno guadagnato in forza ed efficacia. Samhita riprende là dove si era interrotta, dall'esilio dei Pandava, concentrandosi sul tema dominante di questa seconda parte, la guerra, che nella sua epica futilità sembra pervadere ogni pagina. Assistiamo così alle splendide, terribili battaglie combattute a Kurukshetra, agli ultimi cruenti nove giorni: descrizioni accuratissime e dolenti, come toccanti sono la morte di Abhimanyu o di Karna, il dolore di Duryodhana. Con un candore che ha il profumo acerbo e acuto della temerarietà, Samhita punta l'occhio verso l'insegnamento ultimo di questa che è la più complicata fra tutte le storie: "Nessuno è perfetto e tutto quello per cui ci si batte potrebbe alla fin fine rivelarsi inutile, nondimeno dobbiamo fare il nostro dovere". E' la semplice, inscalfibile noce di saggezza che, estraendola dal Canto del Beato, la "Bhagavad Gita", ci porge al termine della sua mirabile impresa la piccola Samhita.