Futilità

Futilità

Quando era un giovane scrittore fuggito dalla Russia della rivoluzione, e del tutto ignoto, William Gerhardie scrisse una lettera gonfia di ammirazione a Edith Warthon, ricevendone in cambio un invito nella di lei villa a Hyères. Grazie a un certo uso di mondo (era pur sempre figlio di ricchi industriali inglesi trapiantati a San Pietroburgo) il timidissimo Gerhardie riuscì a mimetizzarsi fra gli altri invitati, e a non parlare con nessuno per quasi due giorni, fino a quando cioè non chiese alla sua corpulenta vicina di tavola di indicargli la padrona di casa, sentendosi rispondere un gelido: "Sono io". Solo un personaggio come questo poteva scrivere un romanzo come questo, forse l'unica comica del muto ambientata nella Russia mezza bianca e mezza rossa degli anni Venti. Tutto cade in pezzi, ma il protagonista, Nikolaj Vasil'evic, continua imperterrito a occuparsi delle sue miniere d'oro in Siberia e a coltivare l'"incantevole bouquet" delle sue tre figlie, diversamente irresistibili. Il che non gli impedisce di accogliere in casa una folla smisurata di amanti, parenti in vario grado delle medesime, impostori, parassiti e mere comparse, che danno luogo a una sgangherata e sofisticatissima commedia di equivoci, sostituzioni, tradimenti. Il risultato è il libro di un magnifico stilista cui è davvero difficile attribuire precursori o epigoni, e che sembra secernere a ogni pagina, come scrisse Giorgio Manganelli, "una delizia volatile e aspretta". "Cosa può impedire ad uno di quei mediocri imbrattafogli senza scrupoli, più interessati alla propria arte che non alla felicità altrui, di descrivervi quali siete? Non accade spesso di trovare materiale tanto prezioso. Anch'io mi sento quasi in grado di farlo: redigerò un "Tre sorelle" che polverizzerà il vecchio Cechov. E' facilissimo, basta raccontare i fatti. L'unico inconveniente è che voi siete tutti così assurdamente inverosimili che nessuno vi crederebbe persone reali. E infatti quest'è il problema della letteratura moderna: un romanzo non è un buon romanzo se non è verosimile, e d'altronde non c'è vita degna d'essere raccontata, se non è una vita fuori dell'ordinario; ma essa apparirà poi improbabile come un romanzo". Con una 'Nota' di Giorgio Manganelli.
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