Georges
Quando nel 1843 appare "Georges", Alexandre Dumas è già un drammaturgo di successo: frequenta i salotti che contano, riceve onorificenze da re e regine, è ricercato e amato dalle donne. La sua condizione di mulatto - la nonna paterna era una schiava nera di Santo Domingo - non gli ha mai creato problemi di accesso alla buona società. E allorché, nel 1845, un critico pieno di livore scriverà: "Grattate la scorza del signor Dumas e troverete il selvaggio", non ci farà gran caso. Anche Georges Munier, l'eroe eponimo di questa appassionante vicenda, è un mulatto; è anche lui ricco e colto; e nel corso degli anni trascorsi a Parigi è diventato non solo un autentico gentleman, ma una sorta di superuomo - quasi un primo abbozzo di Edmond Dantès -, deciso a sfidare i pregiudizi dei suoi simili e a piegare le leggi del mondo alla propria volontà. Se si vuole dunque intravedere in "Georges" una qualche matrice autobiografica, bisognerà cercarla proprio nella unicità del protagonista, nei tratti che fanno di lui un'epitome dell'eroe solitario. "Georges", che va annoverato tra i migliori romanzi di Dumas, non smentisce le qualità che hanno fatto di lui un narratore senza uguali: il fascino dell'avventura, la vitalità dei personaggi, l'emozione di una grande storia d'amore. Con una nota di Tiziana Goruppi.
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