Tululù
Tululù, ossia stupidina: così verrà chiamata da sua figlia, con un affetto velato di condiscendenza, Matilde, la candida, struggente protagonista di questo romanzo inedito di Stelio Mattioni - in cui l'autore, già ammirato da Bazlen e da Wilcock, di "Il Re ne comanda una" si conferma ancora una volta magistrale narratore di storie, capace di dare a una vicenda di umile quotidianità, a una minima cronaca familiare, il passo e i toni della favola. Abbandonando il piglio grottesco a cui ci ha abituati, Mattioni assume qui, per raccontarci la sua indimenticabile eroina, una tonalità che è insieme dolente e distaccata, compassionevole e ironica. Ma tutto in "Tululù" è indimenticabile: la descrizione, per pennellate crude e grumose, di una Trieste popolare e anodina; la scansione di un tempo oppressivo e alienante; il delinearsi delle psicologie attraverso l'allusività dei tratti, dei gesti, degli stati d'animo; la dissoluzione dei rapporti affettivi e sociali colta attraverso dialoghi asciutti e sospesi. E' grazie a questa superba economia del montaggio e dello stile che Mattioni riesce a raggiungere una sua rarefatta classicità - e soprattutto a fare di Matilde un "cuore semplice" che non si oppone alla crudeltà e all'indifferenza degli altri, ma le abbraccia rifiutando sino in fondo di perdere il suo sguardo infantile e pudico, la sua scandalosa innocenza.
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