Religione e futuro
Già nei primi anni Sessanta (quando apparve, quasi clandestinamente, questo libro) la riflessione di Sergio Quinzio era centrata sul lento e graduale dissolversi della religione al'interno di una modernità che ha reso gli uomini incapaci di credere e di sperare. E proprio contro questa idea - al tempo stesso tracotante e fragile - della modernità come tappa di un'inarrestabile marcia verso un futuro che dovrebbe esserci garantito dalla scienza e dalla tecnica, ed è invece costantemente insidiato dal fallimento e dalla disperazione, Sergio Quinzio ha lottato sempre, da profeta disarmato, usando una scrittura intessuta di schegge illuminanti, lontanissima da ogni modello della cultura di oggi e, ancor più clamorosamente, degli anni in cui il libro fu composto. Per Quinzio, proprio l'incapacità di credere rende il credere "urgente e indispensabile". Perché perdere il rapporto con la religione significa non tanto rinunciare al passato quanto rinunciare al futuro: un futuro che non sia un miraggio - e in cui l'avvento del Regno di Dio inauguri la "vera storia", vale a dire l'interruzione e il capovolgimento della "storia del mondo" e la redenzione di tutte le cose. L'impazienza escatologica di Quinzio si dichiara qui con la stessa radicalità che avrebbe mantenuto sino alla fine.
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