Riflessi e ombre

Riflessi e ombre

Di Saul Steinberg si può dire che incarnasse un genere d'arte di cui era l'unico rappresentante, cultore e maestro, circondato da un'invisibile ed ecumenica platea di spettatori ammirati. Era come un guru che, invece di esprimersi per sentenze o trattati, mandava puntualmente indimenticabili cartoons al "New Yorker". Senza pronunciare una parola, ci mostrava un pensiero e una sensibilità che andavano molto lontano - e finivano per restituirci l'intero mondo "trasformato in linea, un'unica linea spezzata, contorta, discontinua" (Calvino). Nemico di ogni clamore teatrale, Steinberg si decise solo negli ultimi anni a raccontare, per brevi tocchi, la prima parte della sua vita, che lo aveva condotto dalla Romania alla Milano degli anni Trenta, e infine a New York, di cui sarebbe diventato il più ironico e malinconico poeta. Anni travagliati e fascinosi, qui tratteggiati - con la collaborazione del vecchio amico Aldo Buzzi - all'insegna di un understatement che paradossalmente ha il risultato di accrescere il rilievo di ogni dettaglio. Ma questo frammento di autobiografia doveva toccare qualche corda molto segreta, se Steinberg non si decise mai a pubblicarlo. E solo oggi, a due anni dalla sua morte, "Riflessi e ombre", che è una vera gemma e, non meno di un suo disegno, si fa subito riconoscere dallo stile, può apparire in Italia nella sua prima edizione mondiale.
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