La notte

La notte

Per lunghi anni, mentre "le autorità politico-religiose" erano "riunite in conclave estetico, per decidere se la letteratura" fosse "fatua o semplicemente criminale", Giorgio Manganelli esplorò instancabilmente quella che qui viene definita "sostanza notte" - da non confondere con la "notte accidentale" che tutti conosciamo, "cosa senza paragone diversa". Una notte integra e compatta, che ha "forma di parallelepipedo" e non si lascia "ledere"; una sostanza che, sebbene molti vi riconoscano un "muro di tenebre" e una "piaga senza storia" da abolire senza esitazione, pur sempre riesce ad attirare dentro di sé taluni che le si rivolgono nella speranza di poterla modificare. Costoro a volte finiscono addirittura per invaghirsene e infettarsene, fino a diventare "dei notturni periferici, inetti a vivere all'interno di quella notte compatta, e repugnanti a perdurare nel nostro mondo della notte accidentale". A questi esseri, fra i quali vanno annoverati molti dei suoi lettori, Manganelli consegnava cronache e notizie della terra cimmeria in cui ormai costantamente soggiornava, perseguendo un'equa distribuzione di forme: dai travolgenti corsivi destinati alla pagina dei quotidiani ad ardue costruzioni in forma di libro, sempre tese al punto dove "quello che viene scritto è il nulla".
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