La morte del sole
In questo libro parla un filosofo di cui non sapremo fino all'ultimo a quale scuola appartenga. Ma subito percepiamo il suo timbro: è un pensiero che ci offre il suo stile prima ancora dei suoi concetti. Vagando fra gli imponenti relitti della storia della filosofia, Sgalambro risale alla celebrata conversione del "vero" nel "certo", che si compie con Descartes - e, con freddezza protocollare, riconosce nei passi successivi la graduale cancellazione dell'"unilateralità scandalosa del vero". Insieme al "vero", nel suo baldanzoso avanzare, la filosofia progressiva tendeva a sbarazzarsi del "mondo", in quanto origine di quel terrore da cui la filosofia era nata e che ormai la macchiava soltanto. La transizione dall'illuminismo all'idealismo appare allora come il passaggio da un tentativo di guardare il mondo senza terrore a una risoluzione di abolire il mondo stesso, mentre il terrore intanto continua a crescere. La "prassi" infatti - ora adorata come un tempo l'Uno - non riesce a nascondere la visione che, a poco a poco, la scienza svela: quella dell'universo disincantato come di un immane mostro, acefalo e caotico, avvicinabile soltanto nell'ostile linguaggio dei numeri. Da allora, scrive Sgalambro, il "lutto matematico" avvolge le cose. Così si sviluppa, nella seconda metà dell'Ottocento, l'ossessione della "morte nel sole", condannato alla termodinamica, "spietata erede dei problemi della 'salvezza'". La morte termica prende il posto dell''eschaton' redentore. Il fantasma del sole in agonia si avventa da un futuro e lo paralizza in un 'tableau vivant' della catastrofe. Per Sgalambro, questo quadro diventa lo sfondo di un magistrale tentativo di morfologia della 'dècadence'.
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