Il viaggiatore incantato
"L'esperienza che passa di bocca in bocca è la fonte a cui hanno attinto tutti i narratori. E fra quelli che hanno messo per iscritto le loro storie, i più grandi sono proprio quelli la cui scrittura si distingue meno dalla voce degli infiniti narratori anonimi" scrisse Walter Benjamin nel suo saggio su Leskov. Ed è la voce che torniamo a sentire - "una gradevole e manierata voce di basso" - appena "il viaggiatore incantato" comincia a raccontare le peripezie della sua esistenza. Siamo su un battello che naviga sul lago Ladoga e il narratore ci appare come "un uomo di enorme statura, con un viso abbronzato ed aperto e folti capelli ondulati d'un color di piombo".Le sue avventure, anche le più sconcertanti, e improbabili, non sono mai cercate, ma precipitano su di lui come eventi della natura. La morte lo sfiora più volte, ma sempre per rifiutarlo. La vita lo usa per un suo disegno, oscuro a tutti salvo alla madre morta, che aveva promesso il figlio a Dio. Presto ci accorgiamo che potremmo ascoltare senza fine le storie di quest'uomo "che aveva molto veduto" e non pretendeva di sapere. Le sue parole spiccano sul fondo dorato della vecchia Rus' di Kiev, immoto e solenne, ma le storie stesse sono un pulviscolo vorticoso.Entrano ed escono di scena vagabondi e prostitute, padroni e mercanti, principi e cavalieri nomadi - e infine, incidendosi nella memoria, la zingara Grusa, simile a "una serpe lucente". Leskov non era uomo che amasse le teorie. Ma dietro questa inarrestabile dispersione e frantumezione di casi si avverte un azzardo teologico che risale a Origene e alle prime dottrine della Chiesa ortodossa: l'esigenza che tutto sia salvato, anche i suicidi senza confessione. E con la storia di un seminarista suicida si era avviato questo folto corteo.
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