Sul mestiere dello scrittore e sullo stile
Schopenhauer si sentì sempre scrittore non meno che pensatore. Fu uno degli ultimi filosofi che sapessero scrivere in latino, e la sua educazione letteraria era avvenuta sotto l'invisibile tutela dei grandi romantici (nonché di Goethe), che frequentavano il salotto della madre. Soprattutto Schopenhauer ebbe sempre una formidabile vena polemica, che gli faceva scegliere i suoi bersagli non solo nella metafisica ma nella vita corrente. Che la pratica della lingua o il modo di dar forma ai libri si corrompessero e degradassero era per lui un segnale che coinvolgeva il tutto (e così sarà, più tardi, in Karl Kraus). Quei vizi da allora non hanno fatto che dilatarsi, fino ad apparire a molti come la normalità stessa. Salutare controveleno rimane dunque, oggi più che mai, la lettura dei tre trattatelli qui raccolti, che si presentano come una sequenza, insieme garbata e tagliente, di raccomandazioni e suggerimenti per curare le malattie croniche di scrittori, letterati, giornalisti - sovrana applicazione di un solo e irrefragrabile principio: "per colui per il quale nulla è cattivo, nulla parimenti è buono".
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