Nella penombra

Nella penombra

Due donne, una anziana e una giovane, zia e nipote, siedono nella penombra di uno studio spazioso, e parlano. Di che cosa? Di un messaggero che dovrebbe arrivare, del suo messaggio che dovrebbe chiudere una ferita aperta molto tempo prima. "Nemmeno per un istante... ho dubitato della veracità di quel che veniva a comunicarmi il messaggero, e sempre mi sono comportata come se lo considerassi il tramite di un inganno" dice la vecchia. Ma chi sono la zia e la nipote? Innanzitutto due imponenti presenze romanzesche, che esistono nel momento stesso in cui aprono bocca. Ma anche: sono due temerarie teologhe, l'una (la zia) dedita per anni ad alte acrobazie speculative: l'altra (la nipote), testarda e aforistica, vibrante di passione 'non smorzata' e insieme lucida e fredda, capace di rintuzzare l'interlocutrice con battute acuminate. Nella conversazione veemente e ipotattica fra le due donne, a tratti fosca, a tratti anche insolente e comica, si svela a poco a poco qualcosa del passato, un fatto che 'deve' essere smascherato, ma al tempo stesso deve restare nascosto, ed è l'oggetto innominabile del messaggio, forse una 'barbara usanza' che si manifestò il giorno delle nozze della vecchia, quando venne accolta nella tribù degli Amat. Ma qual è il nesso fra quell'oltraggio immemorabile e il messaggio che dovrebbe sanarlo? Tutto in questo romanzo è al tempo stesso fisico e metafisico, articolato in una prosa possente, folta, innervata. E il lettore è tenuto in sospeso fino all'ultimo da un burattinaio che opera 'nella penombra' con vertiginosa maestria, 'mentre intorno rumoreggia il destino'.
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