Asiatici (Gli)
Un americano ventiduenne - bello, si desume, e di buona fibra - sbarca a Beirut e si mette in viaggio. Verso dove? Verso l'Asia. "Mi bastava sentire questo nome - Asia - perché il cuore mi battesse più in fretta". La meta è talmente vasta e indeterminata che il viaggiatore può ondeggiare, secondo i capricci del vento e delle occasioni, senza perdere mai la strada. In realtà la sua strada è ovunque gli arrivi "il rumore vellutato degli zoccoli dei cammelli". Tutto ciò che la strada può offrire va bene, purché porti 'più in là'. Ogni volta, l'aria si impregna di umori diversi, poi spazzati via da una folata improvvisa. Rimane il cielo sgombro. E l'avventura ricomincia: amori frettolosi fra cocci e molle rotte, su un tappeto di rampicanti una borsa con tanti barattoli di oppio, gettata vicino a una boa dipinta di viola; la latrina di una prigione turca; una ragazza dai grigi occhi fanatici, con una brocca di ottone accanto a un pozzo; vecchi dallo sguardo inquieto ed esausto, in guerra con la vita; racconti sotto una tenda; paludi salate scintillanti come neve; una principessa persiana, silenziosa bambola di porcellana con la punta delle dita dipinta d'oro; briganti saturnini; monaci ciarlieri, sporchissimi e insolenti; nuvole galleggianti come fiori di spuma sotto l'altopiano; una Maharani corpulenta, con un ghepardo che le lecca le mani; un Rajah vizioso e oxfordiano; un bordello dolciastro in Cambogia; e vari esseri alla deriva, che si ritrovano e tronano a perdersi, di tappa in tappa, da Beirut ai confini della Cina, come se tutta l'Asia fosse la galleria di un Luna Park. Ma soprattutto un continuo sfiorare la felicità e la morte, "come un filo d'argento per tutto il disegno". Prokosch scrisse questo romanzo quando aveva più o meno l'età del suo eroe. Il libro apparve nel 1935 e fu accolto dagli scrittori più illustri come un incantevole libro di vita, ancora vibrante.
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