Il topo e suo figlio
Dal banco di un negozio di giocattoli, dove stavano accanto ad amabili elefantesse e foche meccaniche, il topo e suo figlio precipitano in un immondezzaio di periferia. In piedi l'uno di fronte all'altro e con le mani congiunte, essi coltivano nei loro minuscoli corpi di latta il sogno di autoricaricarsi, per sfuggire alla dipendenza dal mondo. Ma la vita li trascinerà in un turbine di avventure terrorizzanti. Circondati da un maestoso e fosco paesaggio di rifiuti, di erbe e di acque, conoscono la schiavitù e il panico. Incontrano battaglie di toporagni, dighe di castori, rapimenti profezie, duelli. Sfuggono a una compagnia di teatranti, diretta da due corvi, e riflettono sulle sentenza di una tartaruga metafisica in fondo a uno stagno. Dietro a tutto, li segue l'ombra perenne di un feroce persecutore, il Ratto Manny. Davanti agli occhi, trema il miraggio della Casa delle Bambole, che rifulgeva nel negozio di giocattoli.Questa favola, come sempre la vere favole, incanta i bambini - questi grandi esperti di 'suspense' - per dire a tutti cose terribili e meravigliose. Russell Hoban ha soltanto "lasciato che il topo e suo figlio raccontassero la storia che erano stati caricati per raccontare". La loro disperazione, la loro felicità primordiale, contrappuntato da qualche sottile interrogativo che ossesssiona chiunque ricerchi il segreto dell'autocaricamento. Da quando fu raccontata -era il 1967 -, questa è stata accolta fra le più belle favole di tutti i tempi.
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