Ritratti immaginari

Ritratti immaginari

I "Ritratti immaginari" (1887) ci appaiono oggi non solo come l'opera più perfetta di Walter Pater, ma come la più adatta a introdurci, per vie umbratili e sinuose, al segreto della sua visione. Maestro della Decadenza in terra inglese, appartato monaco del Bello, Pater non riusciva a osservare la storia senza trasmigrarvi, immettendo un "fremito tutto moderno in persone e cose del passato" (Praz). Dietro la maschera di squisito dilettante, era una sorta di sciamano degli oggetti, delle tracce e delle 'occasioni sensibili'. Anche se il ritegno e il pudore lo imbrigliavano, la sua tentazione non era lontana da quella di Nietzsche negli ultimi giorni di Torino: essere "tutti i nomi della storia". Così questi "Ritratti immaginari", oltre che una superba galleria di figure trascorrenti dalle 'fetes galantes' di Wattenau a una Germania invasa dall''aurora apollinea' e all'Olanda dei limpidi interni seicenteschi, sono una autobiografia indiretta e cifrata, dove un io multiplo si riflette su screziate superfici. Dal "Fanciullo nella casa" mirabile anticipazione del Proust che rivive Combray, al "Denys l'Auxerrois", crudele, ebbra apparizione di un Dionisio 'in esilio' (secondo la formula di Heine) nella Francia medievale, sino alla furia astratta e annientatrice del giovane spinoziano Sebastian van Storck, in tutti i personaggi di questa fantasmagoria avvertiamo un'occulta aria di famiglia, un accento di 'perversa malinconia'.

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