Sir Gawain e il Cavaliere Verde
Re Artù è a Camelot per celebrare il Capodanno. Intorno a lui i cavalieri della Tavola Rotonda, "in splendida festa e spensierato piacere". E' costume del re ascoltare, prima di dar inizio al pranzo, la "strana storia di qualche avventura". Ed ecco, prima che qualcuno cominci a narrare un racconto meraviglioso, si fa avanti il meraviglioso stesso. E' un gigantesco cavaliere, tutto vestito del verde più puro, in mano ha un'ascia "mostruosa ed enorme". Quanto parla, è per proporre una sfida che fa tremare. Sarà Sir Gawain, perla dei cavalieri, a raccoglierla. Sopravvissuto in un solo manoscritto, anonimo, attribuibile alla fine del Trecento, "Sir Gawain e il Cavaliere Verde" spicca solitario nel Medioevo inglese. In questo poemetto insondabile e fragrante sembrano celebrarsi le nozze fra Bellezza e Significato. Qui, all'interno di un'incantata cornice cortese, fra castelli che paiono ritagliati nella carta, corni di caccia e dame esperte in rischiose schermaglie d'amore, incontriamo una variante assai segreta di un tema ultimo del mito: il rapporto fra l'eroe e il mostro, il Nemico. I cavalieri antichi ben sapevano che vincere il Nemico non significava soltanto affondare una lama in un corpo mostruoso. Ben più intimo, ben più sconcertante e vertiginoso è il rapporto che li lega all'avversario soprannaturale. Allora duello e sacrificio possono sovrapporsi, allora una testa che rotola può diventare non la rovina ma la salvezza. Allora i colpi mortali possono essere sostituiti da doni, in uno scambio di omaggio fra il mostro e l'eroe. Filtrato dalla mente cavalleresca, questo è il meraviglioso di cui aveva bisogno re Artù per cominciare a mangiare. Il che significa qui: per cominciare a vivere. L'avventura di Sir Gawain offrì ai suoi occhi qualcosa del meraviglioso che dà avvio alla vita, come lo offre a quelli di tutti noi che leggiamo le parole del suo ignoto cantore.
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